Il neuropotenziamento viene definito come l’estensione e il potenziamento delle capacità cognitive, motorie e di regolazione emotiva basati sulla neurobiologia di base nella popolazione sana.
In termini moderni, il neuropotenziamento è l’utilizzo di tecniche basate sulle neuroscienze per migliorare le capacità cognitive, agendo direttamente sul funzionamento del sistema nervoso durante un compito specifico. Potrebbe essere assimilato ad una sorta di doping del sistema neurologico che favorisce una migliore gestione delle nostre risorse, incrementando, allo stesso tempo, la salute psicologica e le performance in ogni ambito di vita che desideriamo potenziare e migliorare.
Le tecnologie del neuropotenziamento
Esiste una molteplicità di tecnologie che possono provocare effetti di neuropotenziamento, come i farmaci, le interfacce cervello-computer, l’editing genico e la stimolazione cerebrale.
Ad oggi, gran parte della letteratura in tema di neuropotenziamento si è concentrata sull’utilizzo di farmaci, classificati in cognitive enhancers, destinati al potenziamento cognitivo attraverso l’alterazione dei processi mentali, e mood enhancers, che agiscono sui processi di regolazione emotiva. E, più recentemente, sulla stimolazione elettrica transcranica (tES, dall’inglese transcranial electrical stimulation) in soggetti non affetti da quadri clinici di patologia.
Tutte le tecnologie citate, pur con grandissime differenze l’una con l’altra, hanno in comune l’obiettivo finale: migliorare l’essere umano nella sua globalità, dal punto di vista fisico, mentale ed emotivo. Ma ciò che caratterizza il neuropotenziamento è che agisce direttamente nel cervello umano e nel sistema nervoso, alterandone l’equilibrio biochimico per aumentare le prestazioni durante l’esecuzione di uno specifico compito cognitivo o di un insieme di compiti. Inoltre, punto cruciale del neuropotenziamento di cui mi occupo è il focus sulla popolazione sana.
Il neuropotenziamento: dallo studio di patologie al miglioramento delle performance
Per quanto la ricerca sia partita nella quasi totalità dei casi dallo studio di particolari patologie al fine di disinnescare il deterioramento cerebrale o stimolare specifiche aree cerebrali, l’applicazione delle neurotecnologie si è estesa fino a coinvolgere soggetti sani, con il solo scopo di aumentarne la performance cognitiva, fisica e la capacità di regolare al meglio gli stati emotivi. Insomma, grazie al neuropotenziamento possiamo superare i nostri limiti e raggiungere tutti i nostri obiettivi, arrivando a performance superiori.
Attenzione, voglio chiarire un punto, per non cadere in una trappola cognitiva molto diffusa.
Avrai sicuramente sentito dire che “noi utilizziamo solo il 10% del nostro cervello”. È qualcosa che viene affermato molto spesso, in ogni ambiente, tanto da sembrare una verità assodata uscita dai laboratori della scienza per essere resa disponibile al maggior numero di persone.
Dal punto di vista scientifico si tratta di una sciocchezza e non vorrei che potessi collegare il neuropotenziamento con tecniche che ti permetteranno di utilizzare questo famoso 90% lasciato inutilizzato all’interno della nostra scatola cranica. Noi non utilizziamo solo il 10% del nostro cervello e questa non è una verità scientifica, anzi, si tratta semplicemente di una di quelle frasi a effetto contenuta in uno dei primissimi manuali di autoaiuto pubblicati negli Stati Uniti nel lontano 1936 e che da allora è rimasta, purtroppo, impressa nella coscienza popolare collettiva.
Ripeto: il neuropotenziamento non ci permette di utilizzare quel 90% di area cerebrale silente, ferma lì ad aspettare l’arrivo del salvatore che la porterà alla luce per rendere l’uomo un super-uomo. E non lo farà semplicemente perché nessuna parte del nostro cervello è stata progettata per l’inutilizzo. Con il neuropotenziamento è possibile migliorare la prestazione di aree cerebrali già funzionanti; quello che facciamo è “semplicemente” renderle più efficienti e performanti, in grado di svolgere meglio determinati compiti per noi importanti.
Come si misurano le performance cognitive
Il concetto di miglioramento viene inteso con duplice metrica: da una parte la misura del miglioramento quantitativo nell’esecuzione di un compito (per esempio dribblare in minor tempo e con maggiore successo l’avversario o parare un numero superiore di rigori); dall’altra un miglioramento qualitativo generale dell’esperienza e dello stato di benessere vissuto durante l’esecuzione del compito. Entrambe queste metriche hanno un effetto diretto sul risultato della prestazione in esame. Se, infatti, corro più veloce dell’avversario, sarò in grado di smarcarmi con più facilità e massimizzerò le mie possibilità di fare rete, così come all’aumentare del numero di rigori che sono in grado di parare aumenteranno le chance che la mia squadra vinca la partita nei tornei a eliminazione diretta. Allo stesso tempo, una migliore esperienza di gioco in senso qualitativo mi porterà a ridurre lo sforzo fisico e la probabilità di infortuni.
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