“Calciopoli”, “Calcio scommesse”, “Match fixing”, “Doping”; questi termini sono ormai diventati di uso comune e non passa giorno senza che vi sia il racconto, da parte delle principali testate giornaliste, di illeciti e reati che investono l’ambiente sportivo.
La problematica del doping, in particolare, ha un posto d’onore nella lista dei reati sportivi, con casi quasi quotidiani di nuovi atleti positivi ai test. È di qualche mese fa lo scandalo del doping di Stato in Russia, quella rete di somministrazione di sostanze dopanti e di copertura dei risultati ai test antidoping messo in atto da diverse federazioni sportive russe, che ha portato alla squalifica di questa nazione da ogni attività agonistica per 4 anni da parte della WADA, con conseguente esclusione dalle Olimpiadi di Tokio (rinviate al 2021), dai Mondiali e dagli Europei.
Insieme al match fixing, la scommessa sportiva su partite truccate, il doping fa notizia e, purtroppo, un’eccessiva attenzione mediatica, insieme al mancato approfondimento delle specifiche situazioni e, non ultimo, ad alcuni errori commessi dalla giustizia sportiva, hanno generato e continuano a generare confusione e sfiducia verso il mondo dello sport e, nei casi più gravi, hanno prodotto e producono “colpevolizzazioni mediatiche” in grado di far concludere prematuramente la carriera di un atleta.
È lecito utilizzare sostanze per migliorare le proprie prestazioni?
Si può ricorrere ad aiuti più o meno naturali per migliorare le prestazioni, ridurre la fatica, la stanchezza e le probabilità di infortuni?
Fino a che punto un atleta può intervenire sul proprio corpo per raggiungere traguardi complessi?
Sono domande difficili e serve chiarezza su tematiche così delicate, troppo spesso affrontate senza disporre di reali competenze e metodiche di accertamento oggettivo anche da parte di chi, per professione, ha la capacità di annullare il futuro di un atleta.
Definizione di doping
In inglese “dope” significa “droga”. “Doping” viene ricondotto anche al termine “dop”, una bevanda alcolica utilizzata come stimolante nelle celebrazioni religiose da alcune tribù africane. Al di là della mera etimologia, il doping rappresenta l’assunzione di sostanze stimolanti per migliorare la propria prestazione. Si narra che già gli antichi gladiatori affrontassero le sfide nelle arene dopo aver assunto preparazioni alcoliche ed estratti di piante ed erbe medicinali. Il doping esiste da quando esiste lo sport, ma è nella seconda metà del secolo scorso che iniziano i controlli degli atleti (umani e animali, visti i numerosi scandali dei cavalli dopati) prima delle gare e le squalifiche per chiunque risultasse positivo ai test.
Le sostanze dopanti si distinguono in psicostimolanti e rafforzanti. Le prime agiscono sul cervello dell’atleta, a livello del Sistema Nervoso Centrale, elevando i livelli di dopamina attraverso una stimolazione diretta del Reward System, che determina l’innalzamento della soglia del dolore e della fatica e l’aumento della fiducia in sé stessi e della concentrazione. Cocaina, anfetamine, efedrina, oppiacei, corticosteroidi, alcool e marijuana sono tra le principali sostanze psicostimolanti utilizzate anche nella pratica sportiva. Le seconde, invece, incrementano le prestazioni dell’organismo, lavorando a livello muscolare e respiratorio. Le principali sono gli ormoni peptidici e glicoproteici, l’eritropoietina, gli aminoacidi, i beta-bloccanti, la carnitina, la creatina, le vitamine.
Entrambe le tipologie sono bandite dal mondo dello sport e la loro assunzione costituisce un vero e proprio reato.
Il reato del doping
Nell’ordinamento italiano il reato di doping viene introdotto con la legge 376/2001 (Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping) che lo definisce come la somministrazione o l’assunzione di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione di pratiche mediche non idonee, non giustificate da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze. Si tratta di un reato di pericolo, dal momento che l’assunzione delle sostanze vietate rappresenta un rischio per la salute, che rende punibile la condotta a prescindere dal verificarsi di un danno oggettivo. A differenza di altri Paesi europei, infatti, la normativa italiana si caratterizza per la sanzionabilità penale delle condotte di doping praticate dall’atleta (art. 9 L. 376/2000), con una volontà repressiva assunta dal legislatore, non comprensibile se si considera il principio di non punibilità del consumatore di droghe (Art. 75 del DPR 309/90).
Il doping non è qualcosa che riguarda solo il mondo dello sport professionale e agonistico, ma è molto diffuso anche nella pratica amatoriale. Perché?
Da dove deriva una spinta al miglioramento della performance così forte da sfidare la normativa e i rischi connessi all’abuso di sostanze?
Una prima ragione, a forte prevalenza psicologica, è data dalla spinta motivazionale del “vincere sempre e comunque”. Alcuni ricercatori (Cloninger et. al., 1986) hanno rilevato una sorta di vulnerabilità neurobiologica all’utilizzo di sostanze, che si manifesterebbe in tre tratti di personalità:
- i sensation seeking, cacciatori di emozioni caratterizzati da un deficit del sistema serotoninergico che li porterebbe alla ricerca continua di nuove sensazioni attraverso comportamenti ad alto rischio;
- i tratti caratterizzati da ridotto controllo inibitorio, con diminuita percezione del rischio e scarsa ansia anticipatoria, correlati a una sotto regolazione del sistema serotoninergico e ad alterazioni dei sistemi dopaminergico e noradrenergico. Atleti con queste caratteristiche tenderebbero a non considerare i rischi per la propria salute connessi all’abuso di sostanze;
- i tratti caratterizzati da una continua ricerca di gratificazioni.
Oltre alla variabile personologica, non bisogna dimenticare l’effetto spettacolo e la pressione sociale dell’ambiente. Per molte discipline sportive, prima fra tutti il calcio, la gara è spettacolo, una macchina potente che fa girare risorse economiche tali da influenzare molto il comportamento del singolo atleta. L’aspettativa del pubblico, dei tifosi e della società in generale si manifesta con una pressione sociale fortissima, che potrebbe favorire l’utilizzo di sostanze dopanti per non disattendere le aspettative. Queste, unite a particolari caratteristiche psicologiche come una bassa autostima, potrebbero spingere gli atleti a sviluppare un bisogno compulsivo di vincere, anche ricorrendo ad aiuti esterni e illegali.
Ancora, tra i motivi che più frequentemente inducono all’utilizzo di sostanze vietate durante la pratica sportiva si ritrovano:
- la prospettiva di irrobustire il proprio corpo e la falsa speranza di poter controllare e consolidare la propria fragilità psicologica;
- la possibilità di mantenere elevata la propria performance per lungo tempo, dimostrando a sé stessi e agli altri il proprio valore;
- il desiderio di provare nuove emozioni e sensazioni sempre più potenti.
Il ruolo della psicologia e delle neuroscienze dello sport nella prevenzione del doping
Prevenire il doping si può, depotenziando i fattori di rischio e potenziando quelli protettivi attraverso metodologie e specifiche e interventi precoci da attuare a partire dalla fase evolutiva di crescita e sviluppo dell’atleta. Servono strategie informativo-preventive efficaci che diffondano una cultura dello “sport sano” attraverso strumenti idonei a identificare i fattori predittivi di evoluzione tossicomanica di quanti praticano sport.
Il doping deve essere considerato un fenomeno sociale che minaccia la salute pubblica e individuale; analogamente alla tossicodipendenza, richiede l’adozione di strategie di intervento, supportate da provvedimenti normativi che devono essere mirati e integrati con programmi di repressione, prevenzione e assistenza socio-sanitaria.
Maggior rilievo deve essere dato alle neuroscienze dello sport, disciplina che studia e applica gli strumenti che permettono agli atleti di migliorare la propria prestazione, lavorando non solo sull’allenamento fisico e sul perfezionamento del gesto atletico, ma anche sulla dimensione neurofisiologica dell’attività sportiva, così da ottenere una migliore gestione delle energie e dell’emotività sia in allenamento che durante la competizione sportiva
È possibile sviluppare un piano di prevenzione e contrasto al doping e al match fixing come quello già proposto dal WADA da altri organismi. I comportamenti illeciti effetti sull’immagine del Brand, possono avere gravi conseguenze sulla salute degli atleti e ripercussioni negative sul piano economico e di reputazione. E’ possibile beneficiare di un progetto basato sulle neuroscienze cognitive che oggettivamente valuti il rischio di corruttibilità al doping e alle scommesse sportive illecite, anche in modo anonimo, intervenendo sull’aumento della solidità, dell’identità e dei comportamenti dei membri dell’organizzazione.
Bisogna, infine, favorire la diffusione di pratiche di neuropotenziamento che favoriscano l’estensione e il potenziamento delle capacità cognitive, motorie e di regolazione emotiva basati sulla neurobiologia di base, come il Metodo Rusciano Neuroplus®. Tale metodo, con l’ausilio delle neurotecnologie e senza l’assunzione di farmaci, rende possibile l’aumento delle proprie prestazioni mentali in modo sano e lecito, alternativo al doping, potenziando le proprie risorse cerebrali e mentali.
Si può (e si deve) performare meglio e di più senza l’utilizzo della chimica!
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