Quali sono le opportunità dell’industria 4.0 che il calcio italiano non sta cogliendo?
Quali sono i costi e gli errori decisionali da milioni di euro di allenatori e general manager che un’organizzazione evoluta può realmente prevenire in un Club?
Sono le domande a cui darò risposta in questo articolo.
Un’organizzazione calcistica evoluta ha il suo asset principale, il suo capitale più prezioso, nella salute psicofisica e potenziale dei calciatori e nei loro dati.
Negli anni ’50, Charles Reep raccoglieva le statistiche a mano per suggerire che “la chiave per segnare gli obiettivi è trasferire la palla il più rapidamente possibile da dietro a davanti”, iniziando così indirettamente il movimento della palla lunga nel calcio inglese.
Ricordo un famoso direttore sportivo di un Club di Serie A che più di dieci anni fa, all’uscita del calendario delle partite, rovesciava il foglio e iniziava a costruire il piano d’azione per centrate gli obiettivi. Oggi questo direttore si confronta con un’unità interna nel Club che utilizza l’intelligenza artificiale e i big data, in particolare brain analytics, per controllare il lavoro interno, selezionare calciatori funzionali al progetto e il loro impatto nel team, prevenire rischi finanziari, infortuni e cali di prestazione.
Ma è veramente utile usare i big data e brain analytics nel calcio?
O è tutta roba da film di fantascienza?
I big data e brain analytics sono informazioni “preziose” che permettono ai Club di monitorare gli andamenti interni, portando le eventuali “falle” all’attenzione di allenatori e proprietà. Così facendo, riducono il rischio di acquisti sbagliati, esoneri e infortuni.
Come?
L’approccio è già adottato tra le major dello sport Usa, in National Football League, National Hockey League, National Basketball Association e Major League Baseball, e in alcuni dei 20 top Club calcistici europei come il Manchester City, Barcellona, Chelsea, Juventus, Milan e oggi Atalanta.
L’applicazione di piattaforme informatiche “evolute” con sistemi integrati di data analysis e con l’expertise umano forniscono Analytics, ossia informazioni predittive (non sono visibili a occhio nudo) molto strategiche, perché permettono di anticipare scenari possibili futuri.
Eppure ci sono ancora molti club che non stanno sfruttando le potenzialità degli sport brain analytics e restano in balìa del paradigma “prima emerge un problema, poi trovo la soluzione”. Tutto questo, con costi immensi.
Le applicazioni dell’industria 4.0 nel calcio permettono invece di monitorare in modo reale e quantitativo tutti i processi del Club prima e dopo i 90 minuti, per creare le condizioni ottimali in ogni area (tecnico-tattica, medica, neuro-psicologica, fisioterapica, logistica, nutrizionale ecc.) e trovare i fattori chiave (analytics e key performance metrics) che permettono a ogni membro della squadra di esprimere il massimo del potenziale, azzerando le interferenze.
Allenatore, esperienza sul campo e dati
Tradizionalmente gli allenatori preparano la tattica attraverso l’esperienza, l'”occhiometro”, video e alcuni dati di match analysis.
La tattica e le strategie sono inquadrabili nel flusso di informazioni di input e output, processi decisionali e percezioni (ad alto e basso livello di consapevolezza cognitiva) di un allenatore.
La match analysis supporta l’allenatore con una serie di dati. Ma questi ultimi sono sempre strategici? I giocatori di calcio sono in genere in possesso della palla per 2 minuti circa in una partita più precisamente, 78,78 ± 105,64 secondi. L’analisi dell’attività di possesso, dominio degli spazi, km e accelerazioni, l’accuratezza dei passaggi ( circa il 50% degli eventi totali in un partita), i duelli, i contrasti e i dribbling (circa il 30% degli eventi totali), i colpi di testa (1,5% degli eventi totali/partita) sono forniti in percentuali e medie che escludono tutte le informazioni “contestuali” che vengono scartate, considerando che il 2% degli eventi in una partita sono quelli significativi che ne determinano il risultato. Spesso tali “medie” hanno mostrato un debole potere esplicativo nella realtà professionistica, creando spesso un rapporto di diffidenza tra allenatori e numeri.
Nella mente dell’allenatore, il flusso di informazioni, la formulazione di giudizi, di ipotesi strategiche, di scelte è scientificamente sottoposto a rischi ed errori. Molti studi di neuroscienze della decisione degli ultimi 50 anni, condotti in particolare sui decisori strategici come appunto l’allenatore, hanno evidenziato quelli che vengono definiti come bias cognitivi, ossia “trappole della mente” nella presa di decisione.
Quali sono i bias cognitivi più comuni
I bias cognitivi sono errori decisionali, trappole mentali nel giudizio che costano esoneri, perdite economiche-finanziarie, infortuni e obiettivi mancati. Ecco le principali trappole mentali che non vengono prese in considerazione dagli allenatori nel calcio e che possono essere prevenute attraverso un supporto informativo più evoluto per l’allenatore e il Club.
- Bias confermativo: il bias confermativo consiste nel selezionare le informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi maggiore credibilità, a quelle che confermano le proprie convinzioni, ignorando quelle che le contraddicono. Per esperienza ciò avviene spesso in moltissimi allenatori e staff (chi fa il contratto è l’allenatore, meglio non contraddirlo!).
- Bias di supporto della scelta: il ricordo di scelte effettuate in passato è più forte del ricordo di possibilità di scelta scartate.
- Effetto dell’auto-produzione: informazioni auto-prodotte dall’allenatore/general manager sono ricordate meglio di informazioni prodotte da altri e di cui si è venuti a conoscenza.
- Hindsight bias o bias del senno di poi: “Ve l’avevo detto io!”. Si tratta della tendenza a credere (erroneamente) di aver saputo prevedere un evento, una volta che quest’ultimo è ormai noto a tutti.
- Gambler’s fallacy o apofenia: il bias del giocatore d’azzardo. Si immagina di vedere una “razionalità”, un “senso”, un pattern nei numeri o eventi che compaiono in modo casuale. Molto diffuso nel calcio! Si è ipotizzato che la apofenia fosse d’aiuto nelle società antiche a organizzare il caos e a rendere intelligibile il mondo.
- Bias dell’ancoraggio: la propensione a prendere decisioni basandosi sulle prime informazioni trovate. Per esempio, il primo “dato” offerto imposta lo standard.
Da punto di forza, l’esperienza può diventare un punto debole, un inganno che alcune statistiche potrebbero confermare e non difendere da errori strategici. Si può quindi scegliere se evolvere verso nuove opportunità oppure chiudersi in dogmi che rassicurano ma costano. Non esiste solo la palla, ma anche il cervello umano e suoi dati.
Nel prossimo articolo scoprirai quali sono i vantaggi dei big data e dei brain analytics nel calcio